Che cos’è la coscienza?

CSentire, comprendere e essere sono intrecciati

So dentro di me di esistere. Questa è un’esperienza comune per ogni essere umano. Ma come faccio a saperlo? So perché lo sento così dentro di me. Quindi, il sentire è il portatore del significato (esisto) e la capacità di avere sentimenti e di capire il loro significato è la proprietà essenziale che “spiega” come sappiamo. Quando annuso un fiore, sento il suo profumo. Ma la sensazione “profumo” non è né l’insieme dei segnali elettrici prodotti dai recettori olfattivi all’interno del mio naso, né i segnali elettrici prodotti dal cervello dopo che esso ha elaborato ulteriormente i segnali olfattivi.

            I segnali elettrici portano informazioni, ma quelle informazioni sono tradotte nella mia coscienza in un sentimento soggettivo: il profumo di quel fiore che provo nella mia interiorità.

            Potremmo certamente costruire uno strumento in grado di riconoscere le molecole specifiche che codificano ciò che noi percepiamo come l’odore di un gelsomino, per esempio, e quindi identificare un gelsomino dal suo odore. Questa macchina potrebbe addirittura dire “gelsomino” convertendo il codice corrispondente all’odore in un altro segnale elettrico che pronuncia “gelsomino” quando pilota un altoparlante.

Per essere consapevole, però, la macchina dovrebbe provare sensazioni e sentimenti, invece la sua capacità sensoriale si ferma ai segnali elettrici, e da questi può generare altri simboli per causare qualche azione, ma tra il riconoscimento simbolico e l’azione programmata, la macchina non prova nulla. Si potrebbe dire che c’è buio dentro una macchina, ma sarebbe un’affermazione solo “poetica” perché il concetto di “dentro” non esiste per una macchina. È proprio la coscienza quella che crea l’interiorità che sperimentiamo.

La coscienza ci permette di fare molto di più di agire ciecamente con una risposta automatica ai segnali sensoriali, che è tutto quello che una macchina può fare. Sentendo l’odore, vedendo l’immagine e toccando i petali del gelsomino, ci connettiamo con quel fiore in un modo speciale. Noi “sperimentiamo” il gelsomino. Questa esperienza vissuta va ben oltre il riconoscimento meccanico di un oggetto. Una macchina invece non può connettersi a nulla perché è solo un web di azioni-reazioni cieche.

A questo punto la coscienza potrebbe essere definita semplicemente come la capacità di sentire. Ma il sentimento implica l’esistenza di un soggetto che sente, un osservatore, un sé. Pertanto, la coscienza è inestricabilmente legata a un sé. Sé e coscienza sono inseparabili.

Potremmo allora dire che la coscienza è la capacità intrinseca di un sé di percepire e conoscere attraverso un’esperienza senziente. Ma c’è anche di più perché la coscienza può anche rivolgersi verso il sé permettendogli di conoscere se stesso in aggiunta al mondo esterno.

È come se il sé venisse “creato” nel processo stesso di auto-riflessione: io sono perché so di esistere e so di esistere perché sono (una versione leggermente diversa del cogito ergo sum di Cartesio). Esisto nell’istante in cui so di essere, e so di essere perché la “sostanza” di cui sono fatto è in grado di auto riflettersi e nel riconoscere se stessa io divento un sé. La conoscenza di sé è creativa perché porta all’esistenza del sé. Esistenza e conoscenza sono come le due facce irreducibili della stessa medaglia.

La natura dei sentimenti

Abbiamo visto che la percezione e la comprensione sono portate dai sentimenti del sé. I sentimenti sono chiaramente una categoria diversa di fenomeni rispetto ai segnali elettrici o biochimici. Sono incommensurabili con loro, e nessuno sa come possano nascere dalla materia inerte.

            I filosofi hanno coniato la parola quale (il plurale è qualia) per indicare cosa uno prova quando percepisce un oggetto. Spiegare l’esistenza e l’origine dei qualia è stato definito il problema difficile della coscienza perché il problema è ancora irrisolto.

Se ora esaminiamo i nostri sentimenti, possiamo immediatamente riconoscere quattro classi distinte, in cui ogni classe ha delle caratteristiche proprie: sensazioni e sentimenti fisici, emozioni, pensieri e sentimenti spirituali.

            La prima classe consiste delle sensazioni che derivano dal percepire la realtà fisica sia all’esterno che all’interno del nostro corpo. Ad esempio, il sapore del cibo; l’odore di un oggetto o di un animale; la sensazione di toccare qualcosa; le sensazioni dei colori e delle forme; e le sensazioni di benessere fisico e anche di dolore del nostro corpo.

            La seconda classe consiste nelle emozioni, e ha una “valenza” distintamente diversa dalla prima. In questa classe appartengono sentimenti come paura, rabbia, tristezza, curiosità, amicizia, compassione, orgoglio, ostinazione, vergogna, invidia, avidità, confusione, fiducia e così via. Le emozioni sono qualia molto diversi dai qualia delle sensazioni fisiche. Sappiamo istintivamente che le emozioni provengono da uno “livello” del sé diverso rispetto a quello delle sensazioni fisiche.

            Sorprendentemente, molte persone non sono in contatto con le loro emozioni, al punto che se dovessi chiedere “che cosa provi adesso?” mi direbbero quello che “pensano di provare” perché non sentono nulla che possa essere chiaramente identificabile, a meno che le loro emozioni non siano insolitamente intense. Pertanto, la loro risposta descriverebbe più spesso un pensiero o la memoria di una emozione provata in passato invece dell’emozione vissuta in questo momento.

            La terza categoria è composta dai pensieri. È interessante notare che i pensieri non sono generalmente considerati sentimenti, ma se chiedo: “come fai a sapere che hai avuto un pensiero?” Potresti riconoscere che hai vagamente percepito qualcosa attraversare lo schermo della tua mente, per così dire, depositando una debole “immagine”, un quale, che conteneva l’informazione essenziale del pensiero. Per la maggior parte delle persone, la traduzione dal quale a parole mentali (simboli) è così rapida che credono che il loro pensiero sia emerso direttamente in forma verbale.

Quasi tutti abbiamo imparato ad ignorare, o addirittura a sopprimere, la sensazione primaria che è l’essenza di un pensiero, a meno che questa non sia così forte da non consentirci di farlo.

Quando l’intensità dei sentimenti non supera di molto il livello che consideriamo normale, non proviamo quasi nulla e, poiché confondiamo pensieri e sentimenti, spesso crediamo che un pensiero possa cambiare il modo in cui ci sentiamo.

Quest’idea sembra essere vera solo perché quando “pensiamo” di sentire qualcosa, prendiamo dalla memoria un simbolo come quello a cui abbiamo pensato e lo traduciamo in un quale sintetico. Facciamo così quando non siamo in contatto con i nostri veri sentimenti.

Un sentimento vero può solo esistere spontaneamente nel presente come una “forma viva”. Il ricordo di un sentimento passato non è un sentimento reale; è solo il quale associato ad un simbolo, ma non come mi sento “io” in questo momento. “Io” non è un simbolo. Quella sensazione sintetica sostituisce quindi l’apparente mancanza di un sentimento vero nella nostra coscienza e ci porta a credere che un pensiero possa causare un sentimento.

Possiamo farlo solo perché non eravamo in contatto con i nostri veri sentimenti. Se lo fossimo stati, un pensiero non avrebbe potuto cambiare il sentimento. Ad esempio, quando proviamo un’emozione forte, nessun pensiero può farla sparire, anche quando vorremmo farlo, dimostrando che i pensieri né causano, né possono cambiare i veri sentimenti.

            Abbiamo imparato a usare i nostri pensieri per “spiazzare” i sentimenti più deboli e spesso sostituirli con “ricordi di sentimenti”. Ciò è particolarmente vero quando pensiamo che dovremmo sentire qualcosa che è politicamente corretto nella situazione in cui ci troviamo. Non ci rendiamo conto che così facendo abbiamo chiuso una sorgente preziosa di informazioni su noi stessi, perché un sentiment sintetico è molto diverso dalla presenza di un sentimento spontaneo nel presente.

            Infine, la quarta classe contiene i sentimenti spirituali. In questa categoria, abbiamo i sentimenti più sottili e rivelatori della nostra essenza. Ad esempio, il senso più profondo di esistere come un sé indipendente e unico, al di là di ogni dubbio; oppure il senso di avere un’intenzione indipendente e profonda; provare amore intenso insieme al desiderio di conoscere noi stessi e le persone che amiamo; il senso di connessione con l’universo e con una “presenza” trascendente più vasta di noi; e così via.

Le categorie, o livelli, dei sentimenti sono utili per indicarci dove origina un sentimento specifico, ma poi l’impatto di un sentimento vero, specialmente se intenso, può diffondersi a tutti gli altri livelli del nostro essere, rivelando altri sentimenti associati al primo. Ad esempio, la rabbia generalmente nasce nel livello emotivo, ma il suo impatto si diffonde rapidamente al livello fisico con sensazioni di eccitazione e urgenza di agire. Può quindi passare al livello del pensiero con immagini di vendetta, per esempio; e infine, può inibire l’emergere di qualsiasi sentimento spirituale finché la rabbia è presente.

Ci sono alcuni sentimenti che hanno lo stesso nome, anche se hanno origine in diversi livelli del sé e sono molto diversi tra di loro. Questo accade perché hanno qualcosa in comune. Per esempio, il sentimento di amore può sorgere come sentimento fisico, emotivo, mentale o spirituale, ciascuno diverso dagli altri, e pur avendo lo stesso nome, perché hanno in comune il desiderio di unione o di fusione.

            Per il resto del saggio, userò quale per indicare qualsiasi sentimento che origini in uno dei quattro livelli appena descritti.

La scienza non può spiegare i qualia

La natura dei qualia è inspiegabile scientificamente sia come fenomeno cerebrale, sia informatico, sia fisico-chimico. Questo semplice fatto suggerisce che manca qualcosa di fondamentale nella nostra comprensione della natura. Se la coscienza fosse solo una proprietà emergente di un complesso sistema di elaborazione delle informazioni, come molti scienziati ci dicono, dovremmo già essere in grado di creare un robot con una coscienza primitiva, data la sofisticazione dell’attuale tecnologia informatica. Il fatto che non sappiamo nemmeno come cominciare per progettare un robot con sentimenti, ci rivela che abbiamo a che fare con un altro ordine di realtà, una realtà al di là delle macchine riduttive, qualcosa che va oltre il meccanismo.

            Non c’è alcuna prova che segnali che viaggiano in fili elettrici o che risiedono nella memoria di un computer, possano produrre qualia, per quanto complessi essi siano. In un robot, questi segnali possono produrre risposte automatiche che sono ragionevoli e appropriate. L’imitazione potrebbe anche essere così verace da farci credere che siano consapevoli. Invece i robot non hanno coscienza, ma fanno semplicemente ciò che sono stati programmati a fare, o ciò che hanno appreso attraverso le loro reti neurali artificiali che sono state progettate dalla comprensione umana cosciente con l’intenzione esplicita di imitare il comportamento umano.

È solo perché siamo propensi ad attribuire coscienza a ciò che si comporta come noi che pensiamo che i robot potrebbero in futuro essere coscienti. I robot non hanno nessuna sensazione, nessun sentimento, nessuna conoscenza di sé e nessuna comprensione perché queste qualità non esistono al di fuori della coscienza. Noi percepiamo e capiamo solo perché siamo coscienti, e la nostra coscienza è la più convincente evidenza che siamo più delle macchine.

            I qualia appartengono ad una categoria di fenomeni diversa dai fenomeni fisici. Per esempio, i valori di tensione nei milioni di pixel di un sensore di immagini non producono alcuna sensazione di luce, colore e forme nella fotocamera digitale che contiene il sensore. Malgrado ciò, quando i dati dell’immagine sono elaborati correttamente e sono presentati in uno schermo che emana luce simile a quella prodotta dagli oggetti reali, noi sperimentiamo sensazioni come se le immagini dello schermo fossero altrettanto reali. Invece c’è solo realtà virtuale; punti di luce che si accendono e spengono simulando la realtà.

Una macchina non può convertire luce o segnali elettrici in qualia. La produzione di qualia richiede “qualcosa” che non è presente nel computer. Se il cervello fosse un sistema di elaborazione delle informazioni riduttivo simile ad un computer, come molti scienziati credono, non potrebbe dar origine alla consapevolezza nemmeno lui.

Credere che il cervello, come sistema fisico isolato che utilizza le leggi fisiche che conosciamo, possa causare un’esperienza consapevole, è come credere che l’immagine sul nostro televisore sia generata all’interno del televisore.

             È più probabile invece che il cervello assomigli a un terminale intelligente piuttosto che a un computer, un terminale che traduce una porzione dei segnali del mondo fisico in simboli che la nostra coscienza individuale può percepire e comprendere.

La coscienza è lo “spazio interiore” in cui l’informazione elaborata dal sistema sensorio-cerebrale – che ha una funzione simile a quella di un computer – viene convertita non solo in qualia, ma anche nel significato portato da questi. La conversione da simboli a qualia è chiamata percezione. La conversione da qualia a significato è chiamata comprensione.

Questa semplice analogia può spiegare perché la nostra esperienza cosciente dipende dal buon funzionamento del cervello. Se il “terminale” non funziona bene, o se il canale di comunicazione tra il cervello e la coscienza è bloccato o alterato, la coscienza riceverà segnali corrotti o assenti, spiegando così la dipendenza della nostra esperienza cosciente dal funzionamento del cervello.

La percezione

La percezione è la capacità di avere un’esperienza senziente basata sui qualia. Sperimentiamo il mondo attraverso i qualia, ma i qualia non sono né pattern di bit nella memoria, né segnali elettrici. Da dove provengono allora i qualia? E quali sono i principi fisici che consentono all’attività elettromagnetica e biochimica del cervello di essere tradotta in qualia?

Conosciamo i principi fisici che possono spiegare la complessa attività elettromagnetica del cervello che è correlata a vedere un bicchiere di vino, per esempio, a toccarlo, annusarlo e ad assaggiare il liquido. Ma da dove provengono l’immagine-quale del vetro, il “senso” di tenere il bicchiere in mano, la sensazione del liquido dentro la bocca, il sapore e l’aroma del vino? La fisica può solo spiegare come una macchina codifichi le informazioni in segnali elettrici per rappresentare alcune variabili, ma non i qualia prodotti da tali informazioni. Non c’è nulla nelle leggi della fisica che possa spiegare o prevedere i qualia.

            Sappiamo anche poco di come avvenga la rappresentazione di un oggetto nel cervello. Certamente si tratta di un qualcosa molto dinamico e molto diverso dall’immagine dell’oggetto che percepiamo nello schermo della nostra coscienza. Ma allora, da dove proviene lo “schermo”?

            Se chiudiamo gli occhi ed esaminiamo lo spazio mentale che sembra essere vuoto quando tutti gli oggetti della percezione sono assenti, possiamo riconoscere che si tratta di un “campo” di consapevolezza, simile allo schermo di un computer, tranne che questo è invisibile, multi-dimensionale e sembra infinito perché non ha bordi. Su di esso sono proiettati tutti i tipi di informazioni sensoriali provenienti sia dal mondo interno che esterno. E ogni classe di informazione ha i propri qualia caratteristici.

In effetti, anche la realtà esterna viene portata dentro di noi e diventa “soggettiva” attraverso l’elaborazione personale delle informazioni fatte dal corpo che è diversa per ogni individuo. Il campo della consapevolezza è illuminato da tutti i tipi di sensazioni e sentimenti che provengono dalla traduzione dei segnali elettromagnetici prodotti dal sistema sensorio-cerebrale connesso con i sensi esterni ed interni.

I sensi esterni prendono segnali dal mondo esterno e li elaborano per produrre un’immagine di esso che poi proiettiamo fuori di noi come se provenisse da là, quando è invece una rappresentazione prodotta al nostro interno, usando una frazione infinitesima dell’informazione che esiste nel mondo.

I sensi interni, chiamati propriocettori, prendono segnali prodotti dal corpo che una volta elaborati dal sistema nervoso producono un’immagine del mondo fisico interno, a questi si aggiungono le emozioni, i pensieri e i sentimenti spirituali la cui origine è ancora un mistero. La perfetta integrazione delle cinque classi di segnali genera una percezione integrata e unicamente personale che cattura l’intero stato dei mondi interno ed esterno nella consapevolezza del sé.

Lo campo multidimensionale di qualia, ci fa sentire come un agente tra agenti operanti nel mondo esterno e “proprietario” unico del mondo interno che è privato. Senza qualia, potremmo tradurre i segnali del mondo fisico in altri simboli e agire nel mondo esterno, ma saremmo inconsci, privi di qualsiasi mondo interno. Saremmo esattamente come i nostri robot: zombi, sonnambuli, inconsapevoli di esistere.

            La coscienza è indispensabile per l’esercizio delle caratteristiche prettamente umane come il pensiero, il ragionamento, la comprensione, la volontà, l’immaginazione, l’emozione e le decisioni consapevoli. Il meccanismo che controlla lo schermo – per quanto complesso e prodigioso esso sia – è irrilevante rispetto al significato che ricaviamo nel “vivere” l’informazione che ci viene presentata. La coscienza è ciò che ci fa vivere l’esperienza e la capacità della coscienza di capire il significato delle percezioni si chiama comprensione.

Conoscere, capire e comprendere

La comprensione è una proprietà della coscienza ancora più straordinaria della percezione. Prima di addentrarmi nella spiegazione vorrei però definire i concetti rappresentati dalle parole conoscere, capire e comprendere attribuendole significati più precisi rispetto al loro uso comune. Spesso usiamo la parola conoscere come sinonimo di capire o comprendere. Altre volte, conoscere significa solo avere informazioni, dati; come “conoscere a memoria”, per esempio. Si noti che non avrebbe senso dire “capire a memoria”.

Esiste tuttavia una differenza fondamentale tra conoscere determinati fatti e capirli. Capire richiede di intuire come i fatti o gli elementi di quella conoscenza siano collegati insieme in modo da capirne il significato più profondo possibile. Il capire però avviene in un contesto interpretativo che è fornito dal capire globale del sé che chiamo comprensione.

Ogni nuovo capire arricchisce la comprensione che quindi crea il contesto sempre crescente del nostro capire. Senza capire e comprendere, non ci sarebbe nessuna evoluzione e crescita del sé. Capire è quindi la capacità di conoscere il significato dei qualia nel contesto della comprensione del sé.

            È anche essenziale rendersi conto che, dato un corpus di conoscenze, sono possibili molti livelli di capire, spesso organizzati in una gerarchia. Al primo livello si capiscono solo i semplici fatti, le unità “atomiche” di quell’insieme di conoscenze. Il livello successivo richiede di trovare relazioni significative tra quelle unità atomiche. Usando la metafora della chimica, il successivo livello di capire, è come scoprire le “molecole” in cui i quegli “atomi di significato” possono essere organizzati per fornirci un significato più ricco. Il livello successivo implica la scoperta di un livello ancora più profondo di relazioni tra quelle molecole. E questo processo può continuare a livelli sempre più profondi, a seconda delle caratteristiche del corpus di conoscenza che il sé sta considerando.

Ogni volta che si raggiunge un nuovo livello di capire, la “scoperta” è accompagnata da un “Aha!” che cattura anche la gioia che si accompagna al nuovo capire. L’eccitazione è proporzionale al grado di sorpresa nella rivelazione di un nuovo livello di significato prima sconosciuto. “Aha!” esprime il raggiungimento di un nuovo “quanto di capire”, un approfondimento del significato, che emerge inaspettato. E qui uso le parole emerge e quanto intenzionalmente perché capire si manifesta per conto suo e senza preavviso; emerge dal nostro inconscio in risposta al “desiderio di capire”. Ma il desiderio non è sufficiente.

Il desiderio agisce solo come un campo di forza, come una “preghiera” che invita l’oggetto del nostro desiderio a manifestarsi. Tuttavia, il desiderio da solo non può far emergere il capire. Invita semplicemente la “capacità di capire” inerente nella nostra coscienza a “recapitare” il risultato desiderato. E quando finalmente il capire emerge, ciò avviene in un “tutto o niente”, un nuovo quanto di capire accompagnato da un quanto di gioia.

            Il processo che produce il capire è sconosciuto. Si verifica al di sotto del velo della coscienza e richiede una raffinata combinazione di differenziazione e integrazione. La differenziazione si basa sulla capacità di discriminare sottili differenze tra gli elementi che uno cerca di unire in una nuova struttura per dare vita a un nuovo significato.

            L’integrazione implica la capacità di sintetizzare un nuovo insieme di relazioni semantiche tra gli elementi cognitivi di livello inferiore, “collegando i puntini”, per così dire, che alla fine caratterizzeranno il nuovo capire nel contesto della comprensione precedente. Questo processo richiede un continuo “riarrangiamento” di certe relazioni tra i vari livelli gerarchici di significato, finché non si trova la sistemazione finale che porta ad un “Aha!”. Ciò avviene quando “misteriosamente” emerge una nuova struttura semantica coerente di livello superiore.

Comprensione

A questo punto è possibile fare una sottile distinzione tra i concetti espressi dalle parole capire e comprendere che userò da questo punto in poi. Capire è locale, comprendere è globale. La comprensione fa da contesto per ogni nuovo capire. Quando il nuovo capire si verifica, esso è anche simultaneamente integrato con la precedente comprensione a formare una nuova e più ampia comprensione. “Aha!” segna il momento in cui il sé diventa consapevole della formazione simultanea di un nuovo capire e di un nuovo comprendere dovuto all’integrazione del nuovo capire con la precedente comprensione.

Una nuovo capire si verifica quando un capire provvisorio (la parte) che tenta simultaneamente di auto-realizzarsi e di integrarsi con la comprensione precedente (il tutto), raggiunge il punto in cui “la parte si adatta al tutto” e “il tutto si adatta alla parte” creando così una nuova parte e un nuovo tutto.

In quell’istante, sia il nuovo capire – la parte – sia la nuova comprensione – il tutto – prendono la loro forma finale, cambiando entrambi nel adattarsi l’uno all’altro. Ecco quindi che la nuova comprensione non può essere la semplice somma del nuovo capire con la precedente comprensione.

Il processo-chiave che porta a capire e a comprendere si nasconde nella parola integrazione. L’integrazione richiede intuizione, differenziazione e sintesi, proprietà straordinarie che caratterizzano la natura più profonda della coscienza.

Sorprendentemente, molti scienziati tendono a valutare il ragionamento e l’analisi più della sintesi che proviene dalla comprensione, nonostante che quest’ultima sia principalmente responsabile della maggior parte delle scoperte e delle invenzioni. Capire e comprendere segnano i momenti di manifestazione e di illuminazione.

            È importante rendersi conto che la percezione, il capire e la comprensione sono processi soggettivi e creativi perché avvengono nell’interiorità del sé e non sono accessibili con una osservazione dall’esterno.

Nonostante la soggettività della percezione, del capire e della comprensione, è però possible trovare degli accordi intersoggettivi che permettono di comunicare e di concordare su una realtà comune che diventa “oggettiva per convenzione”.

Il lettore interessato ad approfondire questo soggetto troverà ulteriori informazioni nel libro dello stesso autore, SILICIO – Dall’invenzione del microprocessore alla nuova scienza della consapevolezza, pubblicato da Mondadori (aprile 2019).

Questo saggio è la prima puntata di una serie di saggi sulla natura della realtà che saranno pubblicati periodicamente su questo sito. Il prossimo saggio, intintitolato “La Natura della Consapevolezza”, sarà pubblicato il 17 maggio 2019.

                       © Federico Faggin, maggio 2019

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